È lei!

È lei!

domenica 1 dicembre 2013

Si-può-faaaaaaaare!

Diciamo che, ormai, andare ai seminari di STL è una specie di premio. "Sei stata brava, Valentina, hai subito in silenzio le frustrazioni derivanti dall'insegnamento di materie letterarie ad ovini di varie forme e colori, ora puoi spendere i soldini come preferisci. Alcool, droga, psicoterapia, armi da taglio, come te pare. Gestione separata dell'INPS, ceri alla Madonna, birre al discount. Liberamente, giuro".

Cominciamo dal comincio, da quando Dio creò il cielo e la terra. Contestualmente, io facevo, carica di aspettative, sogni, speranze, illusioni e libri fotocopiati storti, il I anno di Lingue a La Sapienza. Concisissima parentesi: consiglio La Sapienza da morire, perché anche se per molti insegnanti sarai molto meno di un numero di telefono scritto sul muro del bagno di un Autogrill vicino a molti cazzi stilizzati, molti altri sanno che non lo siete. Sono contenitori umani dello scibile riconducibile all'ultraterreno e vi faranno venire voglia di fare cose. Chiusa parentesi.

A La Sapienza, senza fare nomi né cognomi, mi illudevo di imparare qualcosa. Facevo Lingue, non pensavo che l'esame che avrebbe ancorato la mia carriera quei 6 mesi necessari a farmi andare fuori corso (e a farmi pagare una rata di tasse che ha tolto il sorriso a me e alla mia mancata progenie) sarebbe stato quello di Geografia. Geografia. Il 24 più sudato del Dipartimento. Una media fottuta per sempre (a proposito del "ma voi dite fottuto, quando parlate?")
Insomma, sempre per essere concisi, io, delle lingue che ho studiato, non ho imparato assolutamente niente. Nulla. Una beata minchia.
L'esame di Lingua Americana, che comprendeva una prova di traduzione, che secondo il gruppo di Facebook del corso era una specie di mostro, un esame scritto da Bartezzaghi, la soluzione era da leggersi controluce nel Vaticano Latino 3196... si è rivelato quanto segue: due pagine contenenti 10 phrasal verbs e la prima pagina del giovane Holden. 5 parole sottolineate, dovevamo scrivere i sinonimi.
Quello che voglio dire, con questa serie di divagazioni, è che uscendo dall'Università con il celeberrimo e sovrastimato pezzo di carta (un A4 con scritto "je l'hai fatta"), con la corona d'alloro possiamo farci un gustosissimo arrosto di vitella. E due patate.
Non scoraggiamoci.
Io mi sono laureata a Luglio e a Settembre avevo un lavoro.
Non ho detto che "avevo un lavoro e lo sapevo fare bene". Forse avrei dovuto dire "ho avuto abbastanza faccia tosta da spacciarmi per guru del settore (a buon prezzo). E in più con una laurea, tanto bastava".

Detto ciò, al bivio "carriera accademica" - "un pasto caldo al giorno", ho misteriosamente optato per la seconda scelta.
Non voglio sminuire le Università, infatti sono iscritta alla Magistrale (o Specialistica? Com'è che si chiama?), ma almeno studio noiosità che mi interessano molto. Stringo.
Per fare il traduttore, devi avere altri traduttori come riferimento (ci sto arrivando). Come faccio, io, a sapere SE e COSA è giusto, quasi, giusto, brutto, sbagliato, bello?
  1. Sono un'ereditiera e faccio tendenza;
  2. Invento una religione e mi metto a capo del culto;
  3. Mi spaccio per re-taumaturgo;
  4. Domando gentilmente se qualcuno ne sappia qualcosa più di me (ma a chi?)
Prendendo in considerazione l'opzione 4, ho scoperto per caso che i traduttori grandi non sono squali bianchi in fibrillazione alimentare né emuli del mostro di Milwaukee (lo so, cito molti serial killer. Si chiama "cultura di nicchia" e ne vado molto fiera.) Sono persone che si possono frequentare senza sentirsi necessariamente Clarice Starling. 

Detto questo, se anche non siamo la voce italiana di Tolstoj e anche se non abbiamo tradotto Il Capitale in Uzbeko, noi neofiti possiamo partecipare agli incontri senza esser messi alla gogna o avere il panico che ci abbassi la media (ghigno).
Ovvio, non sono gratuiti. Ma l'Università lo è, forse?

Posso dire tranquillamente che, nel giro di un anno, avrò speso un 800 euro circa in seminari e workshop e ho imparato molto di più che in 3 anni di 8+8+8 CFU di Lingua Inglese/Spagnola/Americana/Francese. Non generalizzo, parlo per me. A fronte degli 800 euro annui (x3 e 1/2) che ho sborsato. Non sto nemmeno sminuendo il mio CdL, lo rifarei domani.

L'idea che mi sono fatta delle lacune (mie, di me medesima stessa) che ho accumulato in questi 3 anni, è che mi hanno praticamente assicurato che, uscita con un degno 108, avrei veramente spaccato  i culi. Poi ho seguito il seminario con Chiara Marmugi, a Pisa, e ho pensato seriamente di riciclarmi nel campo dell'edilizia. Giuro.
Poi, ho riletto umilmente, nel buio della mia stanzetta, gli appunti che avevo preso. Ho riscritto i testi, e andavano meglio. Non erano ancora belli, ma erano molto meglio che una secchiata di letame sulle lenzuola bianche. 
Ho ascoltato tanti nomi, e ho comprato un libro che ho letto con piacere. Ho imparato altre cose, ma non le sapevo ancora mettere in pratica.
Poi ho investito altri soldini per un corso di due giorni, tenuto dall'autrice del libro che avevo letto (ne parlo qui). Oh wow.
Ma, se già mi ero innamorata intellettualmente dell'idea, perché negarmi di approfondirla.

Questa roba del post-coloniale, parliamone.
A quei tempi, la terra era vuota e senza forma. Io stavo per dare un esame sul modernismo, e in bibliografia trovo una signora, tale Zora Neale Hurston, che scriveva in una lingua ai più incomprensibile. Solo una minima percentuale degli esaminandi aveva capito chi era morto e perché, nel libro. Una buona percentuale di quelli che lo sapevano, aveva letto il riassunto su SparkNotes.
Nessuno aveva insinuato in noi il dubbio che si potesse scrivere in un Inglese diverso da quello di Harry Potter. Faulkner era l'altro signore che ci è stato introdotto senza molti preamboli. Inutile dire che puntavamo tutti ad un 17 e 3/4 con pedata ben assestata.
Sarebbe stato deontologicamente scorretto consigliarci un buon manuale su cui approfondire la questione, o era necessario relegare la bibliografia al rango di "roba per un esame di cui non ho capito niente"?
Non mi esprimo. 

Giunti al punto in cui lo spirito divino aleggiava sulle acque, ho acquisito, se non altro, un metodo.
Ho parlato con altri che possono aver tradotto meglio o peggio, ma che hanno notato cose che a me sono sfuggite, o che hanno già acquisito meccanismi che io ho acquisito in altri campi (campi in cui ho avuto un tutor/insegnante/filantropo di riferimento da smarronare con domande pedanti).

Fatelo, traduttori figli della mia stessa cucciolata, venditori di voi stessi, allergici all'avere un futuro.
Anche se, sul CV, sembrano solo tanti piccoli pezzi di carta senza nemmeno un voto. 
Ecco STIGRANCAZZI DEL VOTO, mo' l'ho detto.
Ho preso 30 e lode all'esame sul modernismo e se avesi dovuto scrivere due righe di traduzione del passaggio più banale di Their Eyes Were Watching God, altro che la secchiata di letame sulle lenzuola. Pure sul muro e sul guanciale.
Difficile spacciarlo per budino.

Appena avrò smaltito l'entusiasmo, ne scriverò in modo meno prosaico sul sito in cui sono una seria professionista con la foto in bianco e nero



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