È lei!

È lei!

domenica 26 maggio 2013

Spoon River, qualche chicca.

Stasera ho ritagliato due ore per regalarmi uno spettacolo a teatro. Spoon River al Teatro Testaccio.
Sono un'americanista, mi sono detta. Ne so moltissima.
Insomma, Spoon River non si legge mai abbastanza, ma anche se si legge abbastanza, c'è sempre qualche personaggio che ti sfugge, o che non ricordi.
Uno spettacolo teatrale è ottimo per fissarli nella memoria.

Vi allego, esimi colleghi, un paio dei personaggi che avevo dimenticato e che mi hanno fatto piangere (no, non ho la sindrome premestruale)

In ordine di libro, la prima è Ollie McGee

Avete mai visto camminare attraverso il villaggio
un Uomo, con gli occhi bassi ed il volto disfatto?
E’ mio marito, che con una crudeltà segreta
che non si può dire, mi derubò di giovinezza e di bellezza;
fino alla fine, quando raggrinzita e con i denti gialli
con l’orgoglio distrutto e vergognosa
affondai nella tomba.
Ma sapete cosa corrode il cuore di mio marito?
Come ero, e come mi ridusse!
Questo lo porta sul posto dove riposo.
Nella morte, dunque, sono vendicata.

  La seconda è  Sarah Brown 

Maurice, non piangere, io non sono sotto questo pino.
L'aria fragrante della primavera bisbiglia fra la dolce erba,
le stelle brillano, il caprimulgo chiama,
ma tu soffri, mentre la mia anima giace in tripudio
nel beato Nirvana dell'eterna luce!
Va' da quell'uomo di buon cuore che è mio marito,
che rimugina su quello che lui chiama il nostro amore colpevole;
digli che il mio amore per te, non meno del mio amore per lui,
ha plasmato il mio destino - che attraverso la carne
ho conquistato il mio spirito, e attraverso lo spirito, pace.
Non c'è matrimonio in cielo,
ma c'è amore.

La terza è Elizabeth Childers
Polvere della mia polvere,
e polvere con la mia polvere,
o bimbo, che moristi mentre entravi nel mondo,
morto della mia morte!
Che non conoscesti il respiro, nonostante gli sforzi,
e il cuore ti batteva quando vivevi con me,
e si fermò quando mi lasciasti per la vita.
È bene così, bimbo mio. Così non percorresti mai
la lunga, lunga strada che inizia coi giorni di scuola,
quando le piccole dita si fanno sfuocate dietro le lacrime
che cadono sulle lettere sbilenche,
e la prima ferita, quando il tuo piccolo compagno
ti abbandona per un altro;
e la malattia, e il volto della paura accanto al letto;
la morte del padre o della madre;
o la vergogna per causa loro, o la miseria;
poi, cessato il virgineo dolore dei giorni di scuola,
una natura cieca ti fa bere
alla coppa dell’amore, che tu sai avvelenata.
A chi avresti proteso il tuo viso di fiore?
Un botanico, fragile creatura? Quale sangue avrebbe gridato col tuo?
Puro o contaminato, non importa,
è sangue che chiama il nostro sangue.
E poi i tuoi figli—oh, che sarebbe stato di loro?
E quale il tuo dolore? Figlio! Figlio!
La morte è migliore della vita!

 

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