È lei!

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mercoledì 18 luglio 2012

ricetta per un matrimonio felice, lesson 1: "il disordine"

Diciamo che di convivenze con rompicoglioni di categoria AAA+ come le Duracell ne ho avute a sufficienza, e ho maturato una discreta esperienza nel settore. Lo metto nel CV, ora che ci penso. 
Una convivenza non può andare a buon fine se mi ossessioni con l'ordine. O se ossessioni il prossimo tuo, con l'ordine. L'ordine è una categoria soggettiva, ora vado a vedere a che pagina lo diceva, il caro vecchio Kant. 
Sono disordinata: io non ho un armadio, io ho una montagna di vestiti per terra, perché sono povera e non ho neanche una sedia dove accumularli giorno per giorno. Ho una pila mostruosa di libri di fianco al letto perché a P. non va di montarmi un'altra mensola, e rispetto la sua decisione. Tra una decina d'anni mi chiederanno di poter ambientare la trasposizione cinematografica de "La Biblioteca di Babele" in camera nostra. Allo stesso modo, non rompo se P. lascia le tazzine del caffè in giro per casa. Per me ci possono costruire un museo archeologico fra duemila anni, intorno a quelle tazzine. Quando le tazzine saranno finite, qualcuno le laverà e le ricondurrà nella credenza da cui sono venute. Che, tra l'altro, non abbiamo.
Signore mie, non raccontiamocela, non lo so se il disordine sia sintomo di intelligenza, nel mio caso penso o di essere la famosa eccezione che conferma la regola (falsa modestia cervantina mode: off) oppure di essere talmente intelligente da non rendermene neanche conto. 
Certo, il disordine stanca. Ma il disordine unisce. Un grande regalo che puoi fare al tuo partner è trovare sotto un mucchio di detriti modello Monte dei Cocci quella cosa che stava cercando dall'inverno prima.
Lui: "Amó, ma che è questo il maglioncino che stavi cercando tipo verso fine gennaio, per andare a quella festa?"
Lei: "Ma non ci credo!!! Sì, è lui! Dov'era?"
Lui: "Nel trasportino dei gatti, amó!"
Lei: "Grazie, amó, lascialo lì, che lo riprendo a novembre, ti amo."

Oggi, devo dire, ho fatto un primo grande progresso; in realtà è un esperimento. Ho rifatto il letto. Amo stare con uno che non rifà il letto neanche morto. Ti ho scelto tra la folla anche per questo, amore. Adoro non rifare il letto, mi fa sentire una persona che gode di tutti i suoi diritti civili. Mi sento emancipata, politicamente formata e intimamente legittimata a compiere qualche altro gesto sovversivo. A noi piace dormire nel letto sfatto, ci fa sentire a casa e non in ospedale. 
Sfatto non vuol dire "sporco", ovviamente. 
Non si giudica una persona dal fatto che il suo letto sia perfettamente ricostruito e il lenzuolo allineato con il laser ai bordi del materasso. Io, ovviamente, lo uso come ferreo metro di giudizio. Se hai il letto fatto, sei un maniaco compulsivo. Senza dubbio. Se l'hai rifatto per ricevermi a casa, come segno di rispetto...beh, forse era meglio mettere in fresco una Peroni. 

Un'altra cosa meravigliosa che mina la stabilità di questa società corrotta è il non lavare i piatti alla sera. Grazie, grazie, se esisti, bosone di Higgs, per avermi fatto incontrare uno che non smania per lavare i piatti subito dopo cena ma aspetta serenamente che il giorno dopo si siano incrostati a dovere.
È splendido. Ah, e che lascia i piatti sporchi in salotto, esattamente dove li avrei lasciati io. Per giorni. È una marmorea sicurezza. 
Capitava, a volte, che mi scordassi un bicchiere sul tavolo. Il panico. "Mi mollerà perché sono disordinata e non sono una brava casalingua". No. Niente drammi. Puoi lasciare anche la bottiglia, assieme al bicchiere. E anche le pantofole.
Questo è il paradiso.
 
Questa è Malagrotta.
 

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