Cito Kipling, sì, ma anche un album di Marilyn Manson.
Un’ora fa, sono tornata a casa dalla biblioteca, circondata da studentelli incazzosi e starnazzanti. Dicevano che loro la crisi non la pagano. Neanche io la pago, anzi; la sto tenendo in prova da un paio di mesi, poi la assumerò come stagista, se proprio sarò costretta.
Comunque, quando trasporto il Castiglioni Mariotti, divento irritabile. Pesa come una famiglia americana dopo il giorno del Ringraziamento.
Quando mi irrito, non mi viene da sentire Guccini. Anche se la speranza che la rivoluzione scoppi da un momento all’altro presupporrebbe un’adeguata colonna sonora.
Allora, mi sono avvicinata alle mensole di cristallo deputate alla conservazione, in rigoroso ordine alfabetico, dei CD. Punto l’indice alla lettera M, lo faccio scorrere fino alla voce “Manson, Marilyn”. Sto già canticchiando The Nobodies con tutta la frustrazione di una che ha girato col Castiglioni Mariotti sotto il braccio per due ore. Sembro il frontman dei Children of Bodom, tra l’altro, anche esteticamente.
“Lest We Forget”, appunto.
Lo apro.
È vuoto.
Mi scappa un ghigno, per non dire “un embolo”.
“Per non dimenticare”.
Non mi importa quanti altri cd scoprirò che mi ha fottuto, creatura immonda. Spero solo che ti rimbalzino tutti nel culo. Di piatto, naturalmente.
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