È lei!

È lei!

lunedì 24 giugno 2013

Dell'essere piccoli (con un breve excursus pallavolistico)

Sono sempre stata la più piccola in qualsiasi gruppo di persone abbia mai frequentato. Forse è perché sono dell'89, anno nefasto per le nascite in Italia.
Insomma, per me essere sempre la più piccola è stata la norma. A parte alle elementari. Eravamo talmente pochi che ero la più grande di tutti, la prima nata a marzo. Poi è finita lì.

Ho giocato a pallavolo per tanti anni. Ero la più piccola, quando mi portavano a giocare con le più grandi; ero una nana. Bravina, eh, ma una nana. 
Il primo anno che ho giocato in II divisione avevo 14 anni e ricordo chiaramente le date di nascita delle mie compagne - c'erano almeno almeno 6 anni di differenza tra me e loro, che a 14 anni sono veramente tanti. Una specie di larva di pallavolista. Ma mi sono abituata.
Ho giocato la mia prima partita da titolare a Cicagna, la palleggiatrice dell'altra squadra aveva 38 anni. Mi sono cagata veramente sotto, quella mi ha dato non so quante volte della lattante, sotto quella stupida rete. "Avrà ragione, guarda com'è brava, guarda come palleggia". Poi l'arbitro le ha fischiato una doppia. Io ho battuto su di lei, non l'ha vista, ACE. Oh, cazzo. 
Ero una larva di palleggiatrice, ma l'allenatore mi aveva messa dentro e avevo fatto un punto ad una che aveva più del doppio dei miei anni. Oh, cazzo!
Poi sono tornata tra le mie coetanee, ma per poco, ché mi hanno deportata di nuovo tra le più grandi. E lì, tra me e l'altra palleggiatrice, una specie di idolo sacro della pallavolo, per me almeno, c'erano 10 anni di differenza. Ero una specie di caccola con le ginocchiere, per capirci. 
La prima volta che sono entrata in campo, dopo buoni tre mesi di panca a fissare ammirata cosa potessero produrre le più grandi, è stato per sbaglio. Il mio idolo sacro deve aver nominato la madre dell'arbitro e il reato di prostituzione nella stessa frase (non separate da una negazione, peraltro), sotto il seggiolone del più cattivo della Federazione del Levante. Sono entrata, sempre io, la caccola con le ginocchiere. Per quelle 3 lunghissime azioni, non contava più che avessi 18 anni da compiere, ero semplicemente una palleggiatrice, magari non proprio una spada, ma tre palle ho toccato e tre palle ho messo dove le dovevo mettere. Gloria, trionfo. Anche i piccoli possono essere bravi.

Poi non ho più giocato perché dovevo lavorare, e al lavoro ero comunque la più piccola. 
Lavoravo in un bar, un cucciolo di cameriera. 18 anni e tre mesi, fino alle 3 di notte al bar a produrre denaro. Mi ci ero comprata un motorino bellissimo. La differenza d'età s'era ridotta - 2, 3 anni più di me. 

Poi ho cambiato città, sono venuta a Roma, ed ero la coinquilina più piccola, anche se dicevano tutti che sono una 65enne intrappolata nel corpo di una ventenne. Ci credo quasi. 10 anni tra me e la mia compagna di stanza, 12 tra me e gli altri. Aridaje.
Sono andata di nuovo a lavorare, ero sempre la più piccola, talmente piccola che il capo si scandalizzò quando gli dissi che tornavo indietro con l'autobus, mi riportava sempre a casa. 

Poi ho cambiato posto, ho conosciuto mio marito e, tra i due, sono (ovviamente) la più piccola. 
Quando usciamo con i suoi amici e andiamo alle feste, raramente non sono una caccola di moglie o uno sputacchio di femmina. 

Giovedì sera, dopo aver fatto il girino di cameriera, sono tornata a casa e, prima di chiudere il computer e dire a me stessa "Let's call it a day!" ho visto una mail sospetta. "Ecco, un virus".
Info disponibilità. Cosa vuoi da me, tu, all'una di notte?
Vuoi sapere se posso fare una traduzione? 
Mi sono sentita come quando il Mister ha detto "Vale, hai 12 secondi per scaldarti, entrare e fargli il culo". Come quando avevo solo 3 palle a disposizione prima che si chiudesse il set o per noi o per loro. Oddio. 
Certochepossomidicasoloquandodevocominicareprendimiprendimisonotua.
Il giorno dopo, cercavano anche un'adattatrice. Io non faccio l'adattatrice, non ho mai detto di farlo né di saperlo fare. È un mestiere coi controcazzi, mica è come fare la cameriera che a sporzionare in un altro modo ci metti un paio di tentativi. "No, non sono un'adattatrice, ma di solito lavoro con due adattatrici, posso chiedere a loro se sono disponibili". Del compenso non si parla finché non ci sono indicazioni più chiare, no?
Arriva lo script, l'adattatrice c'era, dimmi un po' quanto mi dai, perché ce dovemo da magnà in 2.
500 euro.
Allora, io ho pensato "Cazzo, sono 500 euro! 500 papaveri è quanto guadagno in un mese di nani 3 volte a settimana! Pure che li stecchiamo, famo 400 te e 100 è sempre sempre una piotta!".
Cafoncella coi paraocchi come Migliavacca.

Quanti giovini traduttori come me avrebbero fatto lo stesso ragionamento? Eh, quanti? Ahó, è comunque 'na piotta - So per certo che non stai lavorando, tanto vale che - Mejo che 'n dito ar culo, ecc.  
Quando ho comunicato la cifra all'adattatrice, mi ha detto serenamente "Prova a tenerti la traduzione, ma digli che non posso lavorare a queste cifre". Devo dire che mi sono anche un po' risentita. Ma perché? Non è meglio che non fare nulla? È una persona nuova, magari porta altro lavoro! Ma non c'era la crisi?
Irremovibile. 
Ho dimostrato profonda maturità con un "Certo, capisco/immagino/come no". 
Ma non capivo proprio.
Allora ho richiamato, le ho chiesto
Lei: "L., scusami, ma perché no? È lavoro, ti prendi tutto te piuttosto, ma teniamocelo questo contatto!". 
L'altra: "Cara Vale, non si può. Non si può perché il lavoro vale e come tale va pagato. Non devi pensare che se non lo prendi tu lo prenderà qualcun altro, devi pensare che quello che lo prenderà  non potrà mai viverci, con quel lavoro. Se ti danno 500 euro per un film, da consegnare in 14 giorni, sabato e domenica, quanti giorni al mese devi lavorare per portare a casa 1000 euro? È giusto?"
Lei: "Questo è vero, ma io il mese prossimo rimango senza nani.."
L'altra: "Ma se hai appena detto che saresti stata disposta a lasciarmi tutta la cifra!"
Lei: "È vero...è che sono avida e ho paura che ogni lasciata sia persa..."
L'altra: "Meglio! Non si lavora ad un terzo del minimo sindacale stabilito, è un'offesa. Quel budget serve per coprire pelo pelo la tua traduzione, non svendiamo il nostro lavoro. O penseranno che siamo disperate, farai solo lavori brutti che tutti gli altri avranno rifiutato, per compiere quale missione, poi? Salvare chi fa la cresta sul tuo lavoro?"

Mi è sembrato chiaro. 

Però ci pensavo su e allora è intervenuto mio marito. 
Lui: "Perché ti fai tutti questi problemi?"
Lei: "Perché il lavoro è lavoro, non si rifiuta mai. Mio padre si svegliava nel cuore della notte per andare a lavorare e mia madre viaggiava ovunque, non penso che ricevessero premi speciali per il loro impegno"
Lui: "Ti ricordi quando ho rifiutato quel lavoro fotografico a 300 euro?"
Lei: "Sì, mi sono incazzata come una biscia"
Lui: "Quello che c'è andato ha fatto letteralmente una merda."
Lei: "Mh. Magari quello che prende il film fa un capolavoro e la volta prossima lo pagano miliardi"
Lui: "Dubito."
Lei: "Però avrebbe portato altro lavoro!"
Lui: "E insisti! Cosa ti hanno detto le mamme dei nani quando hai chiesto un aumento?"
Lei: "Che me lo meritavo..."
Lui: "E a quanto lavoravi in Vineria?"
Lei: "4 euro l'ora..."
Lui: "Quanto hai preso per lavorare 3 ore al ristorante, l'ultima volta?"
Lei: "80, perché era un'emergenza e ho fatto un botto di mancia"
Lui: "Se ti avessero chiamata in Vineria, ci saresti andata a 36 euro per nove ore?"
Lei: "Col cazzo, sarei rimasta a casa a guardare un film con te"
Lui: "Ecco."

Ecco, giovani colleghi. 
Essere piccoli non è una discriminante, un difetto, un foruncolo sul naso, avere la lebbra o essere - come ci autoconsideriamo - merda. No, no. 
Essere piccoli e indifesi vuol dire essere almeno forti quanto gli altri e ricavarsi a morsi e unghiate ogni singola cartella di traduzione, dando il meglio del meglio per dimostrare che non si è piccoli, si è professionisti, indipendentemente dalla data di nascita. 

Bisogna imparare a darci un valore, dunque. Io che sogno le suore perché ho chiesto un aumento, vengo a parlare di darsi un valore. 
Ho studiato per fare questo lavoro, se non lo posso fare in buone condizioni e con un buon compenso ne farò un altro - ma quando lo faccio, lo voglio fare bene. Se esiste un prezzo, quel prezzo va rispettato. Sia che uno sia piccolo che uno sia grande. Perché è la vita che ci stiamo buttando, nel lavoro, non i corbezzoli.
Ho rifiutato il primo lavoro della mia vita, e mi sento bene. 
Vi ricordate quelle pagine di storia, il marxismo, i diritti sindacali, il voto alle donne, il salario minimo? Vogliamo distruggere tutto con le nostre mani? Ah, ecco. Figuriamoci, sta scritto pure sui libri di storia!

Non è una dimostrazione di superiorità, assolutamente: ho capito che è una dimostrazione di rispetto. Mancanza di rispetto, cioè, perché se il mio lavoro, per te, vale così poco, tiètte 'sti spicci e fattelo tu. È dimostrazione di amore per un lavoro che ti permette di mangiare, pagare l'affitto, fare una vacanza o comprarti una borsa. È come chiedere ossessivamente lo sconto ad un commerciante: e non la comprare 'sta borsa, se non la vuoi pagare. Il prezzo è scritto sul cartellino. Caccia sti sòrdi.







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