È lei!

È lei!

giovedì 21 febbraio 2013

"I don't think..." then you shouldn't talk, said the Hatter.

Per caso, cazzeggiando tra una traduzione e l'altra, ho trovato questo.
Parole in (Sinistra Ecologia e) Libertà.
Io, naturalmente, rispetto al mondo dei traduttori sono una specie di sputo controvento, un moscerino che barcolla nei pressi della mia pianta carnivora, una cosa del genere. 
Comunque, non è che sia proprio la prima venuta, ecco. 
In esclusiva, riassumerò la mia posizione e non scriverò le 900 cartelle che ho elaborato mentalmente in pochi istanti. 

Lo sappiamo, l'inglese è fondamentale, lo sanno tutti, ma che traduciamo a fare. Io stessa insegno l'Inglese a dei quattrenni che, entro i dieci anni, avranno raggiunto il risultato che io ho ottenuto in anni e anni di Università e studio matto e disperato. Ma consapevole, che è un po' diverso.
Insomma, signora mia, questa cosa che avete voi radical chic che "siamo tutti traduttori", sinceramente, mi fa saltare emboli a mezze dozzine come si regalano le rose rosse.
Emmobbastaveramenteperò!
"Sono un traduttore perché ho un dizionario", è un po' come dire "sono ingegnere perché ho una calcolatrice", "sono un medico, perché ho una confezione di Aspirina a casa". Non so se mi spiego. 
Parliamone, signora mia. Sono Valentina, ho (quasi) 24 anni, mi permetto di dire che faccio la traduttrice. Mi arriva un testo in italiano, in inglese o in spagnolo e io lo trasformo in una di queste tre lingue a scelta (oviamente diversa da quella di partenza). 
Per fare questo, studio inglese da quando facevo la II elementare, ma ho comunque avuto un'infanzia felice. Ho imparato lo Spagnolo per dispetto alla mia insegnante di Tedesco. In tutto ciò, so leggere il russo ed esprimere pensieri molto semplici. So leggere il Fidel ed esprimermi con frasi semplici ma neanche tanto in Amarico. Sono laureata in Lingue con un 108 che mi è costato parte della mucosa gastrica; se aprissi il faldone con le mie certificazioni e le appiccicassi* tutte al muro, avrei carta da parati per almeno due stanze. Corsi, workshop, certificati di presenza, borse di studio, seminari, conferenze. Alla mia destra, sulla mensola della libreria, conto 16 grammatiche di Inglese, 14 di Spagnolo, 3 di Russo, 2 di Amarico, di cui una in inglese e una in Amarico, 5 di Francese... e quelle di Italiano sono talmente tante che non le conto nemmeno. 
Ho 18 dizionari. 
Sto cercando di dirle che io, cucciolo di traduttrice, ho una passione. 
Non ho una presunzione. Ho una passione.
Avere una passione per le lingue straniere è una cosa strana. Per dirne una, presuppone una buona padronanza della propria lingua (spero che non sia il caso di ribadire che ogni parlante è libero di parlare più o meno correttamente la sua prima lingua - figuriamoci la seconda). Vuol dire avere sulla punta delle dita grammatica storica e filologia: nel nostro caso, da parlanti italiani, grammatica storica italiana e filologia romanza. Conoscere il significato delle parole e  l'etimologia - queste parolone che ci piace snocciolare nei forum - aiuta a parlare con consapevolezza. E non a cazzo di cane, ecco. 
Detto ciò, per fare una traduzione, sarebbe carino applicare questo meccanismo di base, cioè di conoscenza approfondita della propria lingua, alla lingua di destinazione. Di cui noi traduttori (più o meno in erba) abbiamo studiato anche l'anima. Non abbiamo imparato l'inglese dai film, ecco. Le lingue non si imparano dai film, lo dovevo dire, l'ho detto. 
Le lingue si perfezionano, con i film. Si entra in contatto con linguaggi specifici, gergali, accenti sconosciuti e via dicendo. Quindi, scusi tanto, ma abbiamo ancora bisogno del doppiaggio.
Dicevo, "avere una passione per le lingue straniere", poi, non è una categoria universale. Come io rimarrò una capra in matematica per l'eternità - nemmeno se vivessi con Zichichi riuscirei ad imparare le divisioni in colonna con due cifre al divisore - ci sarà sempre qualcuno non in grado di imparare a perfezione una lingua. Vogliamo rendere i nostri bambini bilingui dalla nascita? A discapito della nostra lingua, poi, che - abbia tanta pazienza - è di una bellezza sconcertante? Ecco, prendiamo sconcertante. Un dizionario online a caso lo traduce con "bewilder". Ci vogliamo fidare?
"bewilder (v.) Look up bewilder at Dictionary.com1680s, from be- "thoroughly" + archaic wilder "lead astray, lure into the wilds," probably a back-formation of wilderness. An earlier word with the same sense was bewhape (early 14c.). Related: Bewildered; bewildering; bewilderingly."
Il Vocabolario Treccani dice: "sconcertante agg. [part. pres. di sconcertare]. – Che causa uno stato di turbamento, di disorientamento, di perplessità, di sorpresa: una risposta, una notizia s.; un fatto, un episodio, un comportamento sconcertante; impressionante, inquietante, sconvolgente, usato anche come predicato con valore neutro: è s. che non abbia ancora capito la lezione dopo quello che gli è capitato". Aggiungo con spocchia: "Da concertare, con prefisso s-".
Ecco, allora, che, a naso, cercherei un'altra parola, per tradurre "sconcertante". Ma non mi fermo qui. Perché il dizionario non è l'unico mezzo del traduttore, non nel III millennio. C'è Internet. 
Qui ci sono un po' di esempi d'uso di "bewilder". La traduzione sembra non aderente alla parola di partenza. Ergo, ne cerco un'altra. 
Ha presente applicare questo meccanismo ad ogni parola? Ecco. Ha presente che tocca farlo anche velocemente, perché sennò "avanti un altro"?

Ma questo è solo un aspetto della faccenda. Tra i mille mestieri per sbarcare il lunario, ho dato ripetizioni ad un ragazzo che avrebbe voluto fare il meccanico, ma che per compiacere la madre frigida era iscritto al Classico. Ha presente quanto gliene potesse fregare di quelle due ore di Inglese? Zero. 
Gli interessavano i motori a V, i pistoni, le forcelle e i carburatori. 
Posso essere onnisciente, io, e sapere anche tutto di motori? No, anche perché non è un argomento di cui mi interessi particolarmente. 
Le lingue straniere funzionano un po' così.
Le passioni sono strettamente personali, ognuno coltiva le sue, non potrà mai costringere nessuno ad imparare una cosa di cui non gli freghi nulla.
Riassumendo: ci sarà sempre qualcuno che avrà piacere, perché di piacere si tratta, a guardare un film nella sua lingua. Per farle un esempio concreto, poi, secondo il suo principio, Kurosawa potevamo dimenticarcelo. Tarkovskji, chi era costui?


Devo continuare? Magari continuo. 
Vuole che continui con la scelta del tempo verbale? Glielo risparmio.
Continuo elogiando chi fa il lavoro complementare al mio, ossia adatta i dialoghi. Ha presente che preparazione ci vuole, per fare ciò che Lei, signora mia, ritiene inutile? Non lo sa, signora mia, perché sennò avrebbe chiuso quella bocca, che le fa corrente col culo. E poi, Lei che lavoro fa di preciso?

"I don't think..." then you shouldn't talk, said the Hatter.


*non resisto: "appiccicare"; ad+pix, al genitivo picis, pece. Attaccare mediante sostanze collose.

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