È lei!

È lei!

mercoledì 30 maggio 2012

Il figorifero.


Mi piace paragonare il percorso universitario che sto lentamente conducendo alla mia dedizione al Primo Tomb Raider. È stato il mio primo videogioco e, tuttora, i migliori ricordi che serbo della tecnologia sono legati a Lara Croft.

Il primo livello, se ben mi ricordo, è ambientato in una caverna, le difficoltà sono minime, familiarizzi col gioco in totale tranquillità: è un po’ come il primo semestre, quando le tue preoccupazioni si limitano al ricordare i nomi degli insegnanti, capire dove sono le aule, come si arriva alla Caserma Sani, perché hai delle lezioni alle 7 di sera e a tranquillizzare i genitori lontani. Saltiamo i passaggi successivi, soffermiamoci al primo livello difficile, il 5°.
Allora, il 5° è il primo in cui incontri serie difficoltà. Muori come una mosca ogni dieci passi. Infattibile, rispetto a prima, naturalmente. È un po’ come quando sei con i tuoi coinquilini e, improvvisamente, per settimane, a volte anche mesi, a seconda dei casi, ti trovi senza acqua calda. È successo, lo giuro. A casa dei miei, mai. O vivi in situazioni di degrado tali da non accorgerti che in bagno non c’è il copriwater. Ostacoli insormontabili si frappongono tra te, la sessione d’esame e la frequenza regolare delle lezioni.
Il primo effettivo ostacolo, per me, è stato il frigo. Maledizione al frigo. Un frigo che, se avessi fatto come ai tempi degli antichi, la roba mi si sarebbe conservata meglio. Ho anche provato ad esporlo a tramontana, ma niente.
Il frigo era rigorosamente diviso in 4 parti uguali, una per coinquilino, alle quali si aggiungeva ¼ di cassetto per la verdura e un ripiano della porta del frigo. Il nostro frigo, che dev’esser coetaneo della Montalcini, conservava gli alimenti a temperatura ambiente, per cui era sicuramente meglio usarlo come terrario che non adibirlo a luogo di conservazione delle provviste. Intanto, a suon di sommare tutti i miei quarti sparsi, ho raggiunto una superficie da riempire pari allo Sri Lanka. Impossibile, con un budget di spesa di meno di 20 euro settimanali. Labirintite da supermercato, frigo perennemente vuoto.
Il frigo della mamma è sempre pieno, è sempre pulito. Non c’è mai la muffa.
Nel nostro frigo c’era la pestilenza. Nel mio reparto uno yogurt magro troppo schifoso per essere mangiato, anche nei momenti più neri, un pacchetto di sottilette e una bottiglia di tabasco. Facile capire perché, cambiata vita, abbia preso 8 chili.
Labirintite da supermercato, maledetta almeno quanto il frigo. Il frigo della mamma ti sorprende sempre con qualcosa di oltremodo sfizioso. Gli avanzi non esistono, la frutta non si decompone, le pareti non sono verdi e appiccicose, c’è sempre il prosciutto e la maionese. Nel frigo dello studente medio, in periodi di prosperità, ci sono birre e pane in cassetta. A volte, le chiavi di casa dell’ultimo rientrato. Troppo spesso, colonie di parameci. A cadenza bimestrale, avanzi di fast food. Non so se abbiate mai provato a riscaldare patate fritte avanzate da qualche cena trasgressiva. Non fatelo. Mai. Lasciate che ci pensino i parameci.
Come si fa, dico io, a studiare voltapervolta con il peso sulla coscienza della vacuità della tua parte di frigo? Impossibile.
Ho detto vacuità, chissà dove l’ho imparato. Comunque, se non sapete cos’è l’horror vacui, vi consiglio di aprire il mio frigo, tuttora.
Incredibilmente, poi, il periodo di prosperità economica non coincide mai con la sessione d’esame, cosa da un lato positiva, perché accorda mooooltissimo tempo libero allo studente, teoricamente investibile in studio di alfieriana e leopardiana memoria. I risparmi vengono liquidati in una sera, al grido “un’altroggìro! Da domani clausura!”. Sull’estratto conto ti esce gatto Silvestro. Ma i libri ce li hai, fra stenti e privazioni, si potrebbe studiare. C’è il frigo, però: è lì, ti guarda, si mette in contatto telepatico con te, si insinua tra le opere minori di Cervantes e la filologia romanza. Se ne frega della grammatica storica, della linguistica e della poetica di Aristotele.
Studio. Mi alzo. Contemplo il frigo vuoto. Apro. È vuoto sul serio. Chiudo. Sospiro. Mi illumino. Riapro. È vuoto. Chiudo. Ghigno. Sarà mia, quella mozzarella? Bava. Esame di coscienza. Libro. Pensiero fisso della mozzarella. Manuale-evidenziatore-riassuntino. Oddio, quella mozzarella. Finisco il capitolo e ceno. Mamma mia, mozzarella, olio e sale, speriamo che mi prestino dei crackers.
Ad libitum nei giorni seguenti.

“Signorina, non le posso dare più di 23”.
Ti odio, frigorifero.

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