È lei!

È lei!

venerdì 4 gennaio 2013

Per un ragionamento sull'affermazione dei diritti di una (ex) studentessa fuori sede.



Appena ho messo il naso nella mia nuova “vera” casa, quando sono stata ufficialmente insignita del titolo di studentessa fuorisede, una cosa mi è stata subito chiara: “Signorì, qua dentro ognuno ha la sua tazza per il caffelatte, nt’azzardare a usare le nostre”.

Il primo impatto con la vera indipendenza, quindi, è stata la scelta di una tazza per la colazione. Non epiche lotte per i diritti umani, non la labirintite da supermercato, non lunghe nottate a finire “le confessioni di un italiano”.. 

Il caffelatte, poi è uno stile di vita. Sei un barbagianni, se bevi caffelatte. Intendiamoci, amo il caffelatte. Ma noi amanti del genere non abbiamo molto in comune con chi “beve un caffè, mangia un frutto e beve un bicchiere di spremuta”.  Per questo ho capito che il caffè latte è la bevanda definitiva, per la colazione. Richiede almeno almeno 250 ml di latte, la misura corretta è ¾ latte – ¼ caffè. Nutriente come 7 barrette di Pesoforma, è il modo migliore per cominciare la giornata con una voglia clamorosa di tornare a letto. Perché il caffelatte si beve accompagnato da 700 biscotti.

La scelta della tazza è stata un po’ il mio debutto in società. Al negozietto di cineserie, mi sono trovata di fronte a, giuro, almeno 4 scaffali pieni di tazze, tazzine e vasellame vario e meno di mezz’ora per decidere. Stavano per chiudere. Non avrei avuto altre possibilità. La colazione era vicina. Suona un po’ come “ma l’antico vaso andava portato in salvo”. 
La tazza doveva rappresentare l’indipendenza, doveva essere il mio scoglio di Quarto, era anche un po’ il mio “Obbedisco”. Nessuno è mai morto, poi, comprando una tazza per la colazione.
Sofismi inutili: forma, colore, dimensione, con piattino, senza piattino, con manico, senza manico, ceramica, plastica, porcellana, smaltata, grezza, con disegni astratti, motivi geometrici, tinta unita, senza pretese, appariscente, con il Che, senza il Che, chissà quante altre.
La tazza doveva essere il mio biglietto da visita. Non sapevo ancora con cosa l’avrei riempita perché, appena sveglia, avevo solo voglia di lasciarmi morire, non certo di tracannare tre quarti di litro di caffè latte. Ora, con la mia fedele tazza, tutto è diverso.

Gialla? No, ce n’era già una, gialla. Blu? No, il blu mi fa bed & breakfast. Il nero mi fa Ikea e serial killer. Come fai a cominciare la giornata bevendo da una tazza nera? Chi sei, il conte Dracula? Charles Manson? Alemanno?
Evitiamo il tinta unita. Il tinta unita mi fa quadernone monocromo, quello che la mamma ti comprava appena riusciva ad approfittare di un tuo attimo di distrazione, costringendoti a rinunciare al bramato quaderno di Mila e Shiro o dei Cavalieri dello Zodiaco. Forse, se odio la matematica è anche colpa dei monocromo. Avevo un quadernone verde pisello, a quadretti: era infinito, mi dev’essere durato fino alla terza liceo. Insopportabile.
La mia tazza con relativo caffè americano
abbandonato da giorni per fare un
esperimento sui parameci.

Cerchiamo una tazza almeno bicolore, magari con un disegno. Farfalle? Roselline? I Simpson? Fiocchetti rosa? Una principessa Disney? No, per pietà, la-principessa-Disney-no. Poi, se c’è una che a cervello stava proprio messa male, è proprio Biancaneve. Spessore intellettuale zero, assoggettamento a personaggi biechi e di dubbio gusto..no, non sono Berkeley. I Simpson? Mi fanno “faccio la simpatica ma non mi ricordo i nomi dei personaggi perché non ho la tv da anni”. Next. Farfalle? No, tchè, le farfalle no. Tutte spiaccicate sulla tazza della colazione come le falene attorno alla luce del terrazzo. Roselline? Magari un’altra volta, così su fondo crema mi fanno un po’ guanciale-della-bisnonna-defunta.
Oddio, non troverò mai una tazza. Ad un certo punto, opto per la ciotola. La ciotola! Ampia, spaziosa, progettata per contenere otto quintali di yogurt e muesli scadente, base due cm che rende inevitabile il rovesciamento sull’abito da lavoro, rosso metallizzato, sì!
Ma poi, no. La ciotola, no. Dico no se, come me ai tempi, hai un nido di serpenti al posto dei capelli, ingestibili prima delle 11, seminati a dread, perline, treccine: la ciotola no, ti ci finiscono tutti dentro mentre sorbi la tua cisterna di caffè latte. Se ti compri la ciotola, ti devi comprare anche una retina per capelli modello inserviente della mensa.
Poi, il Che. Dico, neanche Fidel beve nella tazza con il faccione del Che. Ti svegli già con l’ansia che la rivoluzione stia cominciando senza di te, che indugi con il tuo caffè latte e il tuo container di biscotti burrosi e finti Pan di Stelle del discount che, a differenza degli originali, sono secchi come calcinacci e inspiegabilmente idrorepellenti.
E ultima venne la tazza con il drago. Era bellissima. Non un drago qualsiasi, di quelli pseudo vaso Ming, di quelli da tatuaggio burino: era un po’ il drago riluttante della Disney, era un po’ Grisù, era mia!
12€. No, dico, dodicieuro per un draghetto disegnato su una tazza? E mi devo anche accollare tutto il servizio, con cucchiaio e tovaglietta? No, signora quelli già ce li ho, poi, se proprio vogliamo sottilizzare, in tasca ho dieci euro, e ci devo ancora comprare il latte, il caffè e i biscotti per domani. Magari anche le sigarette. Ma non demordo, ho una missione da compiere.
Alla fine, la vedo: è verde pisello come il mio ex quadernone monocromo. Ha fiorelloni intervallati a cerchi concentrici. È la mia nuova tazza hippie, con tanto di sottotazza al modico prezzo di 2 euro e 50. Baldanzosa, esco. La nuova tazza mi rappresenta. È fastidiosa ma allegra. Sigarette e a casa. E mi dimentico clamorosamente il latte.

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